giovedì 25 novembre 2010

LEGNANO DECOLLA ... MA DOVE ATTERRERA’? n. 2

di Giuseppe Marazzini
25.11.2010


Continuiamo, con un altro contributo, la discussione sul PGT presentato dall’Amministrazione Comunale di Legnano. Ricordo che la documentazione è disponibile sul sito del Comune di Legnano.
Tracciare un profilo storico-urbansitico degli ultimi 50 anni della città di Legnano non è per niente facile. Il passaggio da “paesone industriale” degli anni 50’ e 60’ a città “moderna” degli anni 70’ con i primi palazzoni e i primi centri commerciali, è avvenuto senza seguire un modello urbanistico armonico e per di più senza pensare al futuro.
I politici di allora agivano con una delega molto forte, e gli abitanti di Legnano, gente operosa e dedita quasi esclusivamente al proprio lavoro, lasciò fare e così l’urbanistica divenne una faccenda in mano a poche persone. Si costruiva senza badare troppo all’estetica o all’eleganza degli edifici, si costruiva e basta.
Le prime trasformazioni delle aree industriali in aree residenziali intensive cominciarono già nei primi anni 60’. Il centro città avrebbe cambiato volto nel volgere di quindici anni.

La corsa al mattone, iniziata in modo disordinato e distorto, distorsioni in parte da imputare anche all’assenza di regole centrali ben definite, ha contribuito ad incentivare la corrente speculativa dei proprietari delle aree destinate alle residenze abitative con la conseguenza di far aumentare anche i costi finali delle opere.
Oltre alla scarsa sensibilità per la qualità degli edifici non ci si fece scrupolo nel distruggere buona parte delle strutture industriali che in qualche modo avrebbero fatto o facevano già parte del patrimonio archeologico-industriale della città.

Era tanta la foga del “costruire distruggendo” che nessuno pensò di recuperare opere di importanza internazionale come ad esempio la ex colonia elioterapica progettata dagli architetti Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers (il famoso studio B.B.P.R.).
Ne questa foga poteva essere giustificata dal fatto che c’erano anche delle situazioni urgenti da risolvere: il risanamento di case degradate, la necessità di nuove case per gli immigrati provenienti dal sud Italia, una viabilità più razionale e servizi più efficienti (scuole, giardini pubblici, strade).

Il modello urbanistico adottato a Legnano è diventato nel corso degli anni sempre più legato agli interessi dei privati, se negli anni 60’ gli interessi particolari da salvaguardare erano identificati in tre soggetti -gli industriali, i commercianti e i piccoli proprietari- negli anni più recenti gli interessi particolari in gioco si sono notevolmente ampliati -società finanziarie, catene immobiliari, multinazionali del commercio, i grandi proprietari del suolo e tutto il corollario di faccendieri che girano attorno a queste entità- la città, quindi, è stata condizionata a periodiche e repentine trasformazioni e questo modo di procedere è stato in parte codificato con l’approvazione del PRG comunale nel 2003.

Che il modello urbanistico legnanese abbia avuto più attenzione per gli interessi privati che per quelli pubblici, più per il centro città che per la periferia, è evidente.
Il centro città viene premiato dal “grattacielo” anche se circondato dalle fabbriche, come a marcare lo sbocco futuro delle aree circostanti.
Il vuoto lasciato dall’abbattimento della ex De Angeli Frua viene riempito da massicci edifici residenziali e commerciali.
Nel frattempo , siamo all’inizio degli anni 70’, si gettano le basi per la costruzione di agglomerati urbani in aree periferiche della città, nascono così i rioni Canazza e Mazzafame luoghi per “confinare” i meridionali immigrati in città. Rioni che tutt’ora lottano per evitare di essere considerati dei ghetti o al meglio cintura dormitorio della città.

La trasformazione delle aree industriali dismesse in aree residenziali diventa, nel corso degli ultimi 30 anni, il terreno di battaglia di tutte le Giunte legnanesi.
Gli interessi in gioco legate alle aree in trasformazione sono forti, talmente forti, che fa capolino la corruzione.
Così scoppiano le tangentopoli: una nel 1995 con arresti di politici ed imprenditori per fatti inerenti alla trasformazione dell’ex stabilimento Cantoni ed accaduti alla fine degli anni 80’ e l’altra nel 2005, sempre con l’arresto di politici ed imprenditori, per fatti inerenti al piano regolatore comunale del 2003.

Nell’ultimo periodo l’urbanistica legnanese ha assunto un andamento confusionale e l’apice di questa confusione la si è raggiunta con la costruzione del nuovo ospedale, costruito consumando altro territorio naturale e in un luogo senza infrastrutture stradali e servizi adeguati adatti allo scopo.

Uscire dallo stato confusionale significa sottoporsi ad una terapia di riappropriazione delle proprie funzioni di controllo pubblico della gestione del territorio e mettere al centro della propria politica una progettazione urbanistica sostenibile e democratica.
L’assunto di questa politica è quello di salvaguardare il territorio non urbanizzato e valorizzarlo come risorsa culturale, restaurare e utilizzare quello già urbanizzato e ridurre i costi della prima casa, azioni che non possono che incidere positivamente sulla qualità della vita che la città offre ai suoi residenti.

Per meglio cogliere la massiccia densità abitativa nella nostra città ci facciamo aiutare da una serie di fotografie, già a suo tempo pubblicate, gentilmente concesse dal quotidiano “la Prealpina”, che riguardano l’espansione urbanistica avvenuta fra il 1960 e il 2000.
Le mappe, invece, oltre a segnalare la forte espansione urbanistica nel rione S. Paolo e nell’Oltresaronnese, evidenziano le aree in cui la bozza di PGT prevede trasformazioni.


Per ingrandire le immagini cliccare sulle stesse.
L'avanzamento delle slides è manuale.



Le Orme - Cemento armato - album "Collage" 1971

venerdì 19 novembre 2010

La mia amica Adriana

Si è spenta ieri notte Adriana Zarri, teologa, mistica, donna inflessibilmente libera e solitaria.
Stava male da tempo, da quando una caduta pareva avere spezzato d'un colpo l'energia che la spingeva dalla cascina piemontese dove abitava, il suo orto, i suoi animaletti e le sue rose, in giro per l'Italia, saltando sulla sua vecchia macchina o su un treno, a partecipare alle battaglie civili, e custode d'una lettura corretta delle scritture che le permetteva, anzi le comandava, di essere anche cittadina.

Si batteva conversando, riunendo altri nella preghiera, scrivendo.
Sino alla fine, già assai malandata, ha continuato a scrivere per noi, come per Rocca, o per Concilium o Il regno: alternando gli interventi o le rubriche, per noi le agili Parabole, ai saggi e ai romanzi. Tutti in verità parabole, l'ultima è del 2008 Vita e morte senza miracoli di Celestino VI, favola moderna su un papa che non fu - come lei aveva sperato fosse in Ratzinger, dagli esordi assieme a Hans Kung nel Vaticano II - e che si inverava in un colto parroco di campagna deciso a servirsi della indiscutibile autorità, e non perché credesse alla propria infallibilità, ma perché liberava la chiesa di Roma dai suoi ori materiali e dai suoi orpelli devozionali.

Nel romanzo non li definisce «idolàtrici», ma che fosse un'«idolatria» lo pensava e diceva. E vi ha fatto perfino uno dei suoi convegni.
Adriana è stata fra i molti credenti cui il Concilio Vaticano II aveva aperto il cuore alla speranza. Sono molti, e a tutti i livelli, dal fedele a certi parroci a qualche vescovo e fin cardinale, che non si mettono fuori della chiesa, ma ai margini e in mezzo alla gente. La chiesa preferisce ignorarli, e benché siano di sinistra, la sinistra ne fa come la chiesa, ben poco conto: quando Berlinguer, dopo Togliatti, pensò a un'alleanza con i cattolici, la cercò nella Democrazia cristiana, cioè in chi più lontana da questi cristiani di base non poteva essere.

Adriana della Dc, come peraltro del Pci, non fece mai parte, né è mai stata di quelli che si potevano incontrare ai meeting di Comunione e Liberazione, che definì, in un celebre libretto, «i guardiani del sabato». In gioventù era stata tentata di entrare in un ordine, ma vi aveva rinunciato per mantenere liberi i suoi pensieri e la sua parola: «Se non prendo gli ordini, mi diceva, loro più che scomunicarmi non possono, e scomunicare un laico non usa più». Loro, cioè il Vaticano, la curia. Così preferì vivere da laica come una monaca, anzi - amava dirsi – da eremita, del suo orto e dei suoi conigli, lavorando come poteva senza rinunciare alla solitudine, e con l'aiuto dei suoi amici - ne aveva molti, amici che in lei cercavano e da lei avevano la parola, gli incontri di riflessione estivi nella pace della campagna, o la preghiera nella veglia pasquale di cui aveva ritradotto le parole con Fabrizio Frasnedi.

Un giorno le dicevo che del cristianesimo mi interessava la disciplina interiore, protestò con veemenza: disciplina era un termine che non tollerava. Né esteriore né interiore. E' stata di quelli che più hanno attaccato la svolta impressa alla chiesa da Karol Woityla, Giovanni Paolo II.
Non ne apprezzava affatto la derivazione dalla chiesa polacca, non trovò accettabile che stringesse la mano a Pinochet (non lo perdonò neanche a madre Teresa), trovò indegno che cacciasse da sé con un gesto della mano il teologo della liberazione Boff che gli si era gettato ai piedi. Mi aspettavo che la sua scrittura, sempre corretta anche nei passaggi più severi, prendesse come obiettivo anche Ratzinger, ma su Ratzinger ha quasi taciuto. Stava già male, le era rimasto caro il Ratzinger degli inizi, le piaceva la leggenda romana del suo amore per i gatti, e certo la sua predilezione per il rituale latino.

Predilezione condivisa: Adriana la trasgressiva pregava e cantava con una bella voce limpida, il rituale di oggi, trovava giusto che il sacerdote dicesse messa senza dare la schiena ai fedeli, ma non avrebbe rinunciato al gregoriano.
Di quel che conosco in questi ultimi anni su di lei da vicino non so altro. Gli amici perfetti di Ivrea l'hanno accompagnata sino alle fine. Era ormai così fragile che si è come addormentata.
In letizia, spero, perché aveva molto amato la bellezza del mondo, i giorni, le stagioni, le creature, il cielo. La sua era una mistica della vita e sono certa che così - agile, alta, ostinata, attiva, i capelli tirati indietro dal bel viso acuto, vestita sempre con qualche colore perché amava che di colore fosse adorno l'universo - vorrebbe essere ricordata.

Fonte : Rossana Rossanda - il manifesto
Venerdì 19 Novembre 2010 08:21 -

lunedì 15 novembre 2010

Care compagne e cari compagni è il momento di discutere seriamente, se no addio alla sinistra.

La situazione politica è massimamente confusa, e pericolosa. La crisi di Berlusconi ormai è evidente e questa - a parere mio - è la ragione vera del distacco di Fini. Ma - nella situazione data - il declino di Berlusconi non sarà breve e soprattutto sarà pericoloso, perché per non mollare e rischiare anche la galera o quasi, le tenterà tutte. E poi, lo schieramento cosiddetto alternativo, quello di Casini, Fini, Rutelli etc., mi pare anch'esso orientato a destra.

Il rischio di una politica berlusconiana senza Berlusconi non è da poco. E tutto questo con la prospettiva di una Finanziaria, che annuncia tagli e confusione, tale che anche il Presidente della Repubblica si è sentito obbligato a intervenire con non lievi critiche. Bene, anzi male. Ma in tutto questo che fa la sinistra? Il Pd ancora non lo capisco, a pensare male sembra disposto a stare con Fini e Casini e slittare anche lui a destra. Restano le formazioni della sinistra antagonista: SEL e Federazione, che sopravvivono come separati in casa. Vogliono dire qualcosa che non sia assimilabile all'ordinaria propaganda?

Ragionando su queste cose ho trovato molto utile l'articolo di Alberto Burgio («Sinistra plurale contro il moderatismo») pubblicato sul manifesto di mercoledì 10 novembre. Se riusciremo a liberarci di Berlusconi, rebus sic stantibus la prospettiva è di un berlusconismo senza Berlusconi e privati anche della possibilità (in verità poco utile) di far chiasso sui suoi bunga-bunga. Sinistra plurale, scrive Burgio, dove «plurale» significa qualcosa di molto diverso dall'attuale frammentazione litigiosa.

In queste mie schematiche e discutibili (magari se ne discutesse) considerazioni metterei da parte per il momento la questione, pesante, del Pd. Bisognerebbe che noi del manifesto discutessimo con il buon e prudente Bersani. Qui vorrei discutere delle cosiddette «sinistre alternative», che sono anch'esse - e forse con meno ragione della sinistra considerata nel suo complesso - due: Sinistra Ecologia e Libertà e la Federazione della Sinistra. Due forze tutte e due deboli; di sinistra, ma divise.

Ora, e credo di essere d'accordo con Alberto Burgio (che di una di queste forze è parte), non chiedo l'unificazione, ma che facciano un passo avanti verso una «sinistra plurale». Ciascuna di queste forze mantenga e rafforzi la propria autonomia, ma si metta in contatto con l'altra: comunichi, discuta, proponga la costruzione di un'agenda politica condivisa e si impegni non solo a parole nel portarla avanti.

Insomma si sforzino entrambe di passare da uno stato di divisione, anche concorrenziale, a una condizione di operosa e unitaria pluralità.
Fatta questa premessa, credo si debba tener conto che Sinistra e Libertà (soprattutto grazie a Vendola) è la forza che ha oggi più appeal.
Allora non sarebbe affatto disdicevole che la Federazione chiedesse a Sinistra e Libertà di incontrarsi per tentare di passare dalla divisione alla pluralità.

È utile che Sinistra e Libertà, anche con le primarie, metta in difficoltà il Pd, ma sarebbe assai più utile che le due forze della sinistra alternativa si incontrassero per vedere se (ovviamente salva la rispettiva autonomia) si possa fare qualcosa insieme, al plurale.
Noi del manifesto saremmo molto felici di un'intesa in questo senso, o almeno dell'avvio di una discussione tra noi e sulle colonne di questo giornale.

Fonte : Valentino Parlato - Il Manifesto
Sabato 13 Novembre 2010 09:30

lunedì 8 novembre 2010

Truffati dallo Stato che ora li vuole espellere

Scontri e arresti a Brescia dove questa mattina la polizia è intervenuta con forza sgomberando il presidio di sostegno ai sei lavoratori immigrati asserragliati in cima a una gru per protestare contro la sanatoria truffa. Giorgio Cremaschi: "Una vergogna legislativa a cui corrisponde una vergogna di polizia. Quello che sta avvenendo in questi giorni a Brescia è indegno dell'Europa civile".

Audio MP3 - Ascolta il commento di Giorgio Cremaschi

(8 novembre 2010)

Repubblica.it/MicroMega - Brescia, sgomberato il presidio a sostegno degli immigrati sulla gru. Cremaschi: “Prove tecniche di Ku Klux Klan” (AUDIO)

lunedì 1 novembre 2010

LEGNANO DECOLLA ... MA DOVE ATTERRERA’?

di Giuseppe Marazzini
01.11.2010


Sarà… ma quello presentato in Consiglio Comunale la sera del 28 ottobre non mi è parso un Piano del Governo del Territorio (PGT) ma piuttosto una descrizione di ipotesi del futuro assetto territoriale e la conferma che tutto è ancora agganciato al piano regolatore del 2003, che, stando alle fasi iniziali di preparazione del PGT, doveva essere messo in soffitta.
Tre ore di esposizione senza dire concretamente, con dettagli più precisi, come Legnano verrà trasformata nell’immediato futuro e senza dare indicazioni, anche di massima, su quanti abitanti è calibrato questo PGT – particolare di non poco conto.

A conferma di quanto sopra, nella stesura degli obiettivi ci sono troppe cose che fanno pensare che questo PGT sia solo una coperta che va a coprire scelte fatte in precedenza e ciò si nota nella mancanza di novità, sia di metodo che di sostanza. Ad esempio:

1. non si prevede la creazione di una anagrafe degli edifici sfitti e invenduti;
2. non c’è nessun accenno all’edilizia sociale;
3. non c’è nessun accenno ai requisiti minimi di convivenza urbanistica;
4. non c’è nessun accenno ad un piano di manutenzione della città pubblica esistente;
5. non sono state definite le regole di gestione dei diritti edificatori (volumetrici) e perché, per forza di cose, tutte le superfici debbano avere questi diritti.

Ulteriore aggravante, non si ferma il consumo di suolo naturale – suolo adibito a campi, prati e/o alberato – la cui superficie è pari a quasi 900 mila metri quadrati, più della metà dei quali sono destinati ad area industriale.
Non guasta ricordare che Legnano si è già mangiata quasi il 70% del suolo a disposizione e la scelta di continuare sulla stessa strada non mi pare una grande strategia urbanistica. Anzi, i tecnici adibiti alla preparazione del PGT, che hanno riscontrato che il 70% dei 900 mila metri quadrati di suolo vergine destinati all’urbanizzazione sono stati ereditati dal PRG del 2003 (aree rimaste ferme), dovevano proporre un cambio di rotta… ma capisco che non è facile sottrarsi ai condizionamenti politici.

Cosa si farà sull’area destinata a zona industriale non è dato sapere.
Ci sarà un polo industriale? Ci saranno capannoni adibiti a deposito?
Sarebbe opportuno, oltre che un dovere, far sapere alla città se ci sono già delle proposte in merito.
In quasi 500 mila metri quadrati di superficie ci stanno abbondantemente due stabilimenti come quelli della Franco Tosi.

La discussione è aperta. Nelle prossime settimane si tornerà sull’argomento, approfondendo altre questioni inerenti al PGT. Nel frattempo i lettori possono accedere alla documentazione sul sito del comune di Legnano.