giovedì 7 settembre 2017

BISOGNA SAPERE DA CHE PARTE STARE, A PROPOSITO DI COLORO CHE: "AIUTIAMOLI A CASA LORO" DA SALVINI-MINNITI A RENZI.

di Giuseppe Marazzini
07.09.2017

Bisogna sapere da che parte stare, a proposito di coloro che: "aiutiamoli a casa loro" da Salvini-Minniti a Renzi

NORD/SUD
STORIA DI UN LAGO, UNA CANNA DA PESCA E UN PESCE

«Piuttosto che dare un pesce all'affamato, dagli la canna da pesca per pescar­lo», diceva uno slogan della cultura solidarista degli anni Ottanta.
Mi piace, invece, rifare lo slogan: «All'affamato da subito un pesce per sfa­marlo, dagli la canna da pesca per pescare domani, ma soprattutto non rubargli più il suo lago».
La metafora del lago potrebbe essere anche la metafora della foresta (e della produzione di legno pregiato per mobili e pavimenti di legno, i parquet dell'Oc­cidente), oppure la metafora della terra (e la produzione di manzi per gli ham­burger o di banane, caffè, stagno, rame...)
Questo racconto vuole far comprendere con la testa e con il cuore», come solo la narrazione e la metafora riescono a fare, le dinamiche Nord/Sud che sono dietro la Terra ingiusta, quella Terra dominata dal «drago» e dalla «bestia», simbolo del male nel libro dell'Apocalisse.
C'era una volta un lago in un Paese lontano dell'Africa. Questo lago era pescosissimo, pieno di pesci delle più diverse varietà e grandezze. Intorno al la­go abitavano tre diverse tribù, o meglio nazioni africane, molto diverse tra di loro: la nazione degli alti, la nazione dei tarchiati e quella dei nani. Vivevano in pace fra di loro e avevano sviluppato buone relazioni tra la gente comune e fra gli stessi capi e durante l'anno celebravano anche delle feste insieme.
Non avevano alcun problema di produzione, che era affidata agli uomini e alle donne e, quindi, non c'erano conflitti sessuali. Non c'erano problemi di sa­lute, perché l'alimentazione era proteica e diversificata, e i vecchi continuava­no a trasmettere ai giovani la memoria dei loro saperi alimentari e farmacolo­gici per una vita sana. Insomma, non c'erano conflitti né tra le nazioni né tra i sessi né tra le generazioni. Si viveva nella pace e nella giustizia, umana e am­bientale.
Un giorno arrivarono quattro stranieri che erano tra di loro grandi amici, tanto che si facevano chiamare, un po' per scherzo e un po' per incutere timo­re, i quattro cavalieri dell'Apocalisse. Furono accolti con grande gioia, perché le tre nazioni si erano tramandate, di generazione in generazione, l'importanza dell'accoglienza e dell'ospitalità, che era considerata addirittura sacra.
Uno degli stranieri era un navigante incallito, aveva guidato lui la spedizio­ne ed era riuscito, più a naso che a conoscenza, a risalire dal mare il fiume e dal fiume era arrivato a invadere, così diceva lui con spirito conquistatore, il lago.

Il secondo era un geografo: scriveva carte, disegnando i bordi dei monti, dei fiumi e dei laghi, scrivendo numeri su numeri per dirne le larghezze e le lunghezze e continuava a borbottare, tra un disegno e l'altro, che «la geografia è una scienza seria, perché serve a fare la guerra»!
Il terzo, invece, era un mercante, che aveva vecchie partite di grano e di li­quori che erano state un affare e ora doveva smerciarle in mercati non troppo esigenti, «tanto», diceva, «dappertutto c'è fame»!
Il quarto, infine, era una persona di grande curiosità, lo chiamavano lo scienziato e sembrava sempre uno che annusava, come i cani, e sezionava e guardava con grosse lenti dentro ogni creatura del creato, anche uccidendole, pur di vedervi dentro, ma lui scherzando diceva che «la scienza è proprio co­me l'albero della vita e della morte»!
La buona accoglienza ricevuta, soprattutto quella delle ragazze, li confor­tò molto, visto che erano mesi che stavano navigando.
Quando decisero di riprendere la navigazione, lasciarono apparentemente soltanto i loro rifiuti, ma qualche mese dopo, anche qualche bambino e ... an­cora, dopo poco, qualche strana malattia alle donne, che cominciarono a mori­re, e malattie con punti rossi ai bambini e anch'essi cominciarono a morire.
Ma la notizia del grande, bellissimo e pescosissimo lago, con i suoi strani abitanti mezzi svestiti e molto accoglienti e liberali arrivò ben presto nelle città dei quattro stranieri.
Un signore, nella grande città dove abitava il geografo, afferrò subito il grande affare che avrebbe fatto, lui che era proprietario della più grande flotta di pescherecci per la produzione di pesce, visto che i diritti sindacali lì nel suo Paese stavano riducendo i suoi profitti e visto che la richiesta di pesce aumen­tava, perché sempre più i bisogni alimentari della gente della città crescevano. E trasferì su due piedi il suo direttore di produzione sul grande lago, perché trasformasse quei selvaggi in buoni operai per produrre pesce in maggiore quantità e a costi inferiori. Detto fatto.
E poiché erano selvaggi, al direttore del peschereccio si aggregarono dei religiosi per far diventare quei selvaggi un po' più civili e spirituali, visto che erano anche un po' troppo libertini!
Gli abitanti delle tre nazioni-tribù, che vivevano intorno al lago, speravano anche di poter comprare cose buone dal mercante. Le donne speravano di comprare grano già macinato, gli uomini, invece, desideravano più liquori; co­sì si trasformarono in operai salariati «a posto fisso e salario assicurato», sen­za neanche che i capi, all'uopo ingraziati con regali e soldi dal direttore del pe­schereccio, avessero avuto bisogno di fare grande opera di persuasione.
Dopo un anno si presentarono altri direttori con altri pescherecci di altre nazioni e fu allora che le famiglie, ormai certe di essere diventate anche loro un «Paese Industrializzato e Moderno» decisero di andare a vendere le loro bar­che, le lenze e le attrezzature per la conservazione del pesce alla gente di altri villaggi sul fiume, visto che loro non ne avevano più bisogno, ora che erano di­ventati operai salariati. Invece avevano bisogno di comprare le molte cose che erano esposte, in bella mostra, nello spaccio che íl primo direttore aveva messo a fianco al fabbricato della lavorazione del pesce e che venivano diretta­mente dalla città e dalla nazione ricca del direttore.

Dopo due anni cominciò a circolare la voce che era calata la produzione, ora bisognava aspettare che i pesci piccoli crescessero e, quindi, diminuiva la quantità di pescato. I vecchi del villaggio si permisero di sorridere malinconi­camente, reprimendo sulle proprie labbra un «Ve l'avevo detto che non si può abusare di madre terra! »
L'impoverimento del patrimonio ittico, argomento discusso nelle Confe­renze internazionali, qui diventava un reale e concreto problema ambientale.
Nel Paese del primo direttore si aggiunsero, poi, le difficoltà finanziarie, e in­torno al lago cominciarono a sentirsi parole curiose come inflazione, borsa, one­ri fiscali, parole che gli ex pescatori, ora diventati operai, pronunciavano un po' con sussiego e un po' con timore, comprendendo ben poco del loro significato, ma intuendone i legami con la propria sicurezza lavorativa. Già un mese dopo la circolazione di queste strane parole, quando andarono a ritirare la paga, si trova­rono pagati con ... un buono su cui era dato il permesso al magazziniere di con­segnare loro trenta chili di teste di pesce (di vario taglio e qualità, certo!) come equivalente (all'attuale tasso di cambio, certo!) della loro paga mensile.
Loro, che erano pescatori e avevano mangiato sempre i pesci, ora erano co­stretti a mangiar teste di pesce, per di più dopo essersi abituati ai cibi importa­ti, come latte in polvere, pane, biscotti e ... anche liquorini!
Fecero riunioni su riunioni, nominarono dei capi per mandarli a parla­mentare col direttore, ma non vennero a capo di niente, anzi, dopo sei mesi co­minciarono a esser licenziati e i primi furono proprio i capi e gli operai più tur­bolenti.
In capo a un anno la prima fabbrica chiuse i battenti e il pescherecci) grande e imponente risalì il fiume e riprese il mare. Alcuni pescherecci e pic­cole fabbriche rimasero ancora, ma licenziarono gli operai uomini e al loro po­sto assunsero prima le donne, per pagarle di meno, e poi i bambini, per pagar­li ancor meno. Ovviamente i bambini non potevano più andare a scuola.
Ai bambini più piccoli cominciarono ben presto a comparire i ventri gon­fi, molti neonati morirono per una stupida diarrea, a causa del latte in polvere, abbondantemente diluito con acqua sporca; poi si ammalarono le donne, quin­di i vecchi cominciarono a essere trattati brutalmente: erano bocche in più da sfamare...; poi i padri, ora mantenuti dai loro figli di dieci-dodici anni, che la­voravano al posto loro nelle fabbrichette, cominciarono a sentirsi dei vermi, perché si facevano mantenere da mogli e figli e... cominciarono a bere, a batte­re mogli e figli e a dimostrare la propria virilità con altre donne.
Questo clima di impoverimento e di rottura delle relazioni sociali avveni­va, naturalmente, all'interno delle tre nazioni-tribù.
Quando poi si incontrarono le tribù diverse, allora incominciarono a guar­darsi in cagnesco, costretti com'erano non solo a far lavorare mogli e figli, ma anche a pescare in quell'unico angolo di lago che dai capi tribù non era stato dato in concessione agli stranieri per cento anni (dietro laute mazzette ovvia­mente e con tanto di carta scritta, ovviamente!)

Delle divisioni e delle liti, che ormai intorno al lago erano sempre più fre­quenti e sanguinarie, vennero ben presto a sapere i fabbricanti d'armi dei Pae­si che avevano già mandato i pescherecci. Ai grandi mercanti di armi dei Paesi stranieri non sembrava vero di poter smerciare lì, sul lago africano, un po' di armi obsolete e vecchie, un po' di invenduto di magazzino, visto che ora la tec­nologia aveva fatto passi da gigante in quel settore.
Mandarono degli esperti in public relations che, con la scusa di fare media­zioni fra le tre tribù-nazioni, fomentarono ancor più odi e vendette, con il no­bile scopo, dicevano loro, di «fare giustizia finalmente!». Vendettero così le armi che erano rimaste come fondi di magazzino, armi ormai obsolete per del­le vere guerre moderne, anche se ancora buone per quei selvaggi sempre in guerra tra di loro», così litigiosi, dicevano, e così incivili!
Si massacrarono. Fu una carneficina. I grandi capi delle grandi nazioni del mondo fecero riunioni, risoluzioni, e poi ancora riunioni, per affermare che c'era il principio di non ingerenza, c'era da rispettare la loro autodeterminazio­ne e sovranità! Altri si appellarono a quello dell'ingerenza umanitaria...
Morirono in migliaia, moltissimi sfollarono nei villaggi vicini, dove furono ammassati in campi profughi e si chiamarono le istituzioni internazionali per gestire la situazione con gli «aiuti umanitari»!
Pochi, i più fortunati, riuscirono a scappare e a emigrare nella grande na­zione del primo direttore della fabbrica di pesce.
Lì, quelli che riuscirono a entrare — avevano da poco chiuso le frontiere con un trattato che li garantiva dalle invasioni degli stranieri — furono ricevuti con diffidenza, con sospetto e li misero di nuovo in un campo per sfollati. Fi­no al rimpatrio!
E lì, nei container o nei recinti delle prefetture, chiusi con reti metalliche, riflettevano e ricordavano il loro grande lago con le loro ricchezze e sogna­vano di...
No! Non sognavano ormai che di morire!
  
Racconto tratto dal libro “il drago e l’agnello” di Giuliana Martirani – Ed. Paoline 2001


Il Fatto Quotidiano del 5 settembre 2017



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Il Presidente della Repubblica e i ministri che hanno giurato sulla Costituzione continuano a pontificare sul rispetto dei diritti umani, da cittadino italiano mi vergogno al posto loro!

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